Il quartiere turistico di Gianola, caratterizzato dalla presenza di oltre un km di spiagge, è impreziosito anche dalla presenza del Parco regionale di Gianola e del Monte di Scauri, che fa parte del più esteso Parco regionale Riviera di Ulisse. Il Parco di Gianola, come viene comunemente chiamato dagli abitanti del luogo, è connotato da una duplice valenza, naturalistica-paesaggistica e storica-archeologica. L’area protetta infatti è un’ampia distesa di macchia mediterranea, in cui spiccano querce da sughero e distese di ginestre, meta ideale per chi ama la natura con tutti i suoi profumi e le sue melodie. Si configura quindi come uno scenario ottimale per passeggiate rilassanti, ma anche come uno spazio adatto a chi ama la bicicletta e la corsa. Le strade sterrate e i sentieri infatti si prestano ad essere percorsi in bici (sia per principianti che per professionisti) e di corsa, garantendo allo sportivo di turno circuiti variegati e sempre suggestivi.
Sicuramente le attrattive più degne di menzione sono le rovine della Villa di Mamurra, antico cittadino formiano che, primo tra tutti, intuì le bellezze del promontorio di Gianola e seppe valorizzarle al meglio, facendo innalzare una struttura residenziale che si estendeva per centinaia di metri, le cui rovine sono state poi avvolte dall’oblio dei secoli, contribuendo ad alimentare leggende locali e ad influire anche sulla toponomastica.
Mamurra, discendente di una famiglia formiana, ricoprì la carica di praefectus fabrum (capo degli ingegneri militari) sotto il grande Cesare al tempo delle sue campagne militari. Le vittorie di Cesare permisero al formiano di accumulare ricchezze su ricchezze, che furono probabilmente determinanti per la costruzione del complesso edilizio sul monte di Gianola.






Tale edificio si suddivide in 3 livelli: uno più vicino alla costa, di cui restano testimonianze visibili del balneum – le terme private – con calidarium e frigidarium, che doveva ospitare anche gli ambienti residenziali veri e propri; uno intermedio, con ambienti funzionali quali le due cisterne e la scala voltata; infine il livello più elevato, a circa 45 m di quota, con l’imponente ninfeo a pianta ottagonale. Le strutture della villa ripropongono uno schema con un asse centrale a cui corrispondono specularmente, ai due lati, ambienti simili, anche nelle dimensioni, secondo il binomio dell’assialità e della specularità. Il ninfeo a pianta ottagonale aveva un diametro superiore ai 30 metri. Presentava un ambiente centrale a forma di ottagono nel quale veniva captata una sorgente naturale di acqua dolce che, opportunamente regimentata, andava ad alimentare le due cisterne e, di conseguenza, l’intera villa. Il soffitto dell’ambiente centrale a forma di ottagono riproduceva la volta del cielo notturno, mentre tutt’intorno era disposta una serie di ambienti comunicanti tra loro, che formavano nell’insieme un grande ottagono, in cui il primo era inserito esattamente al centro. Tale struttura ospitava numerose statue ed era impreziosita da affreschi e mosaici. In asse con il ninfeo, nascosta dal terreno, è situata la cisterna minore, denominata “Cisterna delle 36 colonne”, anche se in realtà le colonne sono 32. Tale cisterna raccoglieva l’acqua che poi veniva convogliata, tramite condutture coperte dal terreno, fino al livello sottostante, per alimentare il balneum e in generale gli ambienti residenziali
Accanto alla cisterna è situata la cosiddetta “Grotta della Janara”, che prende il proprio nome dalla credenza delle “Janare” (1), termine con cui nella zona venivano e vengono tuttora indicate le streghe. Il termine “grotta” nasce da un’errata lettura del luogo, i cui gradini col tempo erano stati in parte ricoperti e nascosti dalla terra, motivo per il quale non si aveva piena percezione dello spazio, assimilato ad un antro, una cavità che portava verso il basso, una grotta. Nella realtà storica si tratta di una scala voltata ad ambientazione rupestre, elemento di raccordo tra due livelli, posti a diversa quota. La scala permetteva di passare dal livello centrale degli spazi della villa di Mamurra a quello inferiore, prossimo alla costa, lungo il quale erano ubicati gli ambienti propriamente abitati. Altra struttura imponente della villa è la Cisterna maggiore, struttura realizzata per garantire alla villa un afflusso di acqua che evidentemente la Cisterna delle 36 colonne non riusciva a sostenere. Un portico colonnato la univa al centro dell’intera struttura, in particolare alla Grotta della Janara, tramite la quale, come indicato sopra, era possibile recarsi al livello inferiore, in cui c’erano il balneum e gli ambienti residenziali. Sempre dalla Cisterna Maggiore un sentiero, seguendo il pendio naturale, permette di giungere al tratto della villa sottostante alla cisterna stessa, in prossimità del quale si trova il triclinio. Superato anche quest’ultimo elemento, proseguendo in direzione est si arriva al Porticciolo romano.







Tutti lo conoscono come “Porticciolo romano” ma, come per altri edifici del complesso della Villa di Mamurra, la denominazione è inesatta. L’aspetto attuale di “porticciolo” risale agli anni ’30 del secolo scorso, in seguito ad interventi che hanno in parte celato la natura originaria della struttura. Essa era la peschiera privata della villa, una sorta di vivaio ittico pienamente inserito nel contesto naturale dell’insenatura in cui si trova. Non una vasca ittica come la intenderemmo noi, ma uno spazio in cui i pesci venivano allevati nel pieno rispetto della loro natura, con percorsi costruiti tra le rocce del fondale, come solitamente avveniva nelle peschiere romane. I Romani erano ghiotti di pesce, ed ogni villa costiera o marittima che si rispettasse aveva un vivaio privato (come è possibile vedere a Formia, davanti ai criptoportici, al di là della Litoranea). In questo modo il pesce arrivava sulla tavola, pronto per solleticare il palato dei proprietari, in questo caso Mamurra, con ricette raffinate.
Oltre il Porticciolo romano, sempre proseguendo verso est, tramite sentieri ancora praticabili è possibile giungere alla vasta insenatura naturale di Porto Cofeniello, dopo la quale è ubicata la Grotta delle Sette Cannelle (o di S. Michele), raggiungibile solo tramite la diramazione un sentiero che segue l’andamento della costa e che dal Porticciolo romano consente di giungere fino al quartiere di Scauri. Tale grotta, relativamente bassa e abbastanza larga, presenta al centro un masso di notevoli dimensioni da cui, tramite sette piccole fontane (cannelle), trasuda costantemente acqua; da qui la denominazione di Grotta delle “Sette Cannelle”. L’accesso principale alla Villa di Mamurra era una strada rettilinea che dal Ninfeo portava direttamente all’Appia, all’incirca all’altezza dell’attuale zona di Santa Croce. Da questo punto si poteva procedere in direzione dell’attuale Scauri-Minturno oppure verso Formia.
(1) Ma chi sono le Janare? Come segnalato sopra, esse sono un corrispondente delle streghe, termine, quest’ultimo, che deriva dal latino “striga”, al plurale “strigae”, con il quale veniva indicato un uccello notturno che si nutriva di sangue e carne umana, in grado di causare la morte col contatto; non è ben chiaro se fossero o meno l’esito di una metamorfosi di donne anziane. Nel passaggio medievale da “striga” (uccello notturno) a “strega” (donna con poteri malefici) restano i poteri magici e capacità di volare, così come il legame con la notte, ma muta l’aspetto, pienamente umano. La Janara è una donna anziana, che di notte si introduce nelle abitazioni dalla porta (in latino “ianua”) e provoca malformazioni e malattie ai bambini. Per proteggersi dal suo malefico potere veniva posizionata una scopa dietro la porta, poiché la Janara, per un’antica condanna, era costretta a contare le setole della scopa prima di oltrepassare la soglia, azione che non avrebbe mai concluso prima dell’alba, quando era costretta a tornare da dove era venuta. Il nome “Janara” secondo alcuni deriva da “Diana” (ipotesi più accreditata), secondo altri da “Giano” o da “ianua” (“porta” in latino). Il termine latino sopra riportato per indicare la porta, “ianua”, richiama alla mente proprio il nome Janara, inducendo ad individuare una filiazione etimologica. Tale legame è suggestivo ed è sottolineato da diversi autori, ma sarebbe da accantonare per difficoltà fonetiche. Il termine “ianua” deriva dal dio Janus, Giano, il dio bifronte dei passaggi e degli avvicendamenti. Al nome del dio è connesso anche quello del primo mese dell’anno, gennaio, da “ianuarius”. Tale termine sottolinea in realtà la difficoltà etimologica di una derivazione di Janara da ianua. In effetti “nu” dovrebbe diventare “nn” (come avviene in “gennaio”) o al limite restare “nu”. Invece il termine Janara non risponde a queste 2 opzioni. In sostanza dovremmo aspettarci “jannara” o “januaria”. Dunque è più semplice far derivare Janara da Diana, con un passaggio normale di “di” +vocale a “j”+ vocale, “dia” che diventa “ja”, come da “diurnus” deriva il dialettale “jorno”. Qual è il legame della janara con Diana? Diana era la dea romana della caccia e dei boschi, in sostanza della natura selvaggia, non toccata dalla mano degli agricoltori. Col passare del tempo da dea semplicemente “terrestre” diventa dea “triforme”, ossia identificata con la Luna, divinità notturna del cielo, e con Ecate o Proserpina, dee dell’aldilà. Il legame con Ecate conferisce a Diana poteri magici, di una magia intesa come capacità di alterare il reale. Nel passaggio dal mondo classico a quello medievale-cristiano, Diana resta la dea delle zone selvagge, boscose, non frequentate dall’uomo, se non sporadicamente, quindi paurose e fonte di pericolo. La componente magica di Diana resta vitale e si trasmette alle sue serve, le “dianare”, ovvero le janare. Il culto cristiano prende rapidamente possesso dei centri urbani, dei borghi agricoli e in generale delle campagne, di tutti quegli spazi frequentati abitualmente dall’uomo, e per questo più conosciuti e sicuri. La natura selvaggia dei boschi e delle foreste resta il regno di forze occulte e misteriose che acquistano il massimo potere durante la notte, recando minaccia all’uomo nella sua dimora. Personificazione di queste forze sarebbero appunto le Janare.





Si ringrazia il Prof. Antonio De Meo, studioso e amante del territorio in cui vive, per il testo da lui redatto ed offerto a GianolaVillage.